«La mafia? La batti con il lavoro». Storie di vecchia e nuova resistenza tra Pietralunga e Isola del Piano

WP_20150722_16_24_07_Pro«Quando mi hanno riferito che da noi c’era la ‘Ndrangheta, per poco non cadevo dalla sedia. Ma come, ho pensato, proprio qui, in mezzo a queste montagne sperdute?». Mirko Ceci, giovane sindaco di Pietralunga, racconta alla platea lo stupore che provò quando seppe dai magistrati che stavano per confiscare un’intera vallata con tre casolari,a Col de la Pila, ai margini del comune che amministra e lo smarrimento dei molti: in paese, poco più di duemila abitanti nell’Alta Val Tiberina, pochi immaginavano che i clan potessero arrivare fin qui.
Dipana il racconto davanti ai volontari che per il terzo anno di fila, animano il campo della legalità su quegli stessi terreni che una volta appartenevano ai De Stefano, una famiglia legata a doppio filo alla mafia calabrese, luogo di transito di latitanti in fuga. Ragazzi che arrivano dal Veneto, dalla Toscana, dal Lazio, addirittura dalla Sicilia, per riconquistare metro a metro spazi di legalità, con azioni concrete, come costruire un capanno per gli attrezzi, coltivare patate, ripristinare la scoscesa strada che porta alla vallata. A cui per una sera, si uniscono i ragazzi del Campo della Legalità di Isola di Piano, a 60 chilometri da qui, oltre le colline. Per una sera insieme, seguendo il filo rosso che unisce la mitica guerra partigiana all’invasore, che vide Pietralunga conquistarsi una medaglia al valor militare, alla resistenza di oggi, quella alle mafie, che qui trovano nuove terre di approdo. Nell’unica piazza del paese, di impronta medievale, un parterre ricco mette a confronto le esperienze sul campo nel contrasto alle mafie. Oltre a Ceci, è arrivato qui il sindaco di Isola, Giuseppe Paolini, i segretari dello Spi di Umbria, Marche e Calabria, la segretaria nazionale dei pensionati della Cgil Lucia Rossi.«Sappiamo ormai – continua Ceci – che sono i territori tranquilli più a rischio di essere infiltrati. Quando ci siamo accorti che la cosa riguarda anche noi, la domanda che ci siamo fatti è stata: cosa ci facciamo con questo bene? Abbiamo deciso che affideremo con un bando gli 80 ettari di Col de la Pila a una cooperativa di disoccupati per offrire una opportunità concreta di lavoro». Non è sempre così, «spesso le amministrazioni non si fanno carico dei beni sottratti alle mafie, prevale la diffidenza e la burocrazia non aiuta», ricorda uno dei volontari che proviene da Verona. «Ma se noi ci fermiamo gli altri pedalano», spiega il sindaco Paolini. Isola del Campo è appena oltre la collina. La nuova amministrazione ha dovuto ingaggiare una lunga battaglia per riconquistare quella che oggi è la Fattoria della Legalità, primo bene assegnato in tutta la regione: «In Umbria sono una ventina i beni confiscati, nelle Marche circa il doppio, ma molti sindaci continuano a far finta di niente. E allora – prosegue – se gli altri girano la testa, noi facciamo rete, con le nostre tipicità. Si vince non solo sottraendo terreni e immobili, ma portando su questi beni posti di lavoro legali». Interviene il segretario dello Spi della Calabria, Vladimiro Sacco: «La ‘Ndrangheta ci ha sottratto pezzi di economia, di cui ora dobbiamo riappropriarci. Facciamo tornare ora alla collettività questi beni sotto forma di servizi e di opportunità di sviluppo».«Fare rete contro la cultura dell’illegalità, come si è fatto da altre parti, facendo leva sull’aiuto reciproco», ribadisce il segretario dello Spi della Marche, Emidio Celani. Conclude Lucia Rossi: «L’interesse dei mafiosi è lasciare rovine, per rendere ingestibile la situazione, far passare l’idea che con la mafia si lavora, con lo Stato no. Dobbiamo scardinare questa idea, costruendo opportunità di impiego nei luoghi confiscati». (A.F. – continua)

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